Il recente dibattito pubblico ha rivolto l’attenzione agli insetti come cibo. La normativa italiana si sta adeguando a quanto previsto a livello europeo, ammettendo un ristrettissimo numero di farine prodotte a partire da artropodi appositamente allevati.
Ma chi presto assaggerà queste farine è davvero certo che sia la prima volta? Gli insetti frequentano le nostre tavole da molti anni, forse da sempre.
La nostra tradizione alimentare insettivora
Si è tirata in ballo la nostra tradizione alimentare, che si vorrebbe basata su ingredienti visti come sani, e più nobili degli insetti. Un alimento considerato storico è proprio a base di insetti: “su casu martzu”, formaggio tipico sardo, è popolato da vermi, che altro non sono se non larve di un insetto: la mosca casearia Piophila casei; simili declinazioni casearie, meno celebri, si riscontrano qua e là in tutta la penisola. Dal 2004, il “Pacchetto Igiene” europeo ne ha legalmente impedita la produzione ed il consumo, anche se le legittime resistenze locali ne fanno ancora oggi un prodotto tollerato, per il quale si sta lavorando ad una completa riabilitazione formale.
Altri insetti da tempo presenti nella nostra dieta sono le cocciniglie, Dactylopius coccus e simili, cheallevate appositamente e finemente triturate, producono il colorante carminio. La cocciniglia è sempre stata consentita, con l’unica prescrizione di essere indicata in etichetta come “colorante E120”. Molte bevande hanno tratto, almeno in passato, il loro colore da questo insetto: l’alchermes, il vermuth rosso, innanzitutto, ma anche il Campari fino al 2006; da alcuni anni molti produttori optano per coloranti di diversa origine, compatibili con la dieta vegetariana. Resistono sugli scaffali dei supermercati numerosi succhi di frutta e yogurt di colore rosso, con le cocciniglie, nominate E120, in etichetta.
Mangiamo già farine con insetti
Fin qui, casi limitati e circoscrivibili. Ma il pane e la pasta? Anche loro contengono insetti, da sempre. Qui la normativa si fa elastica, e più delle leggi contano le interpretazioni giurisprudenziali. In estrema sintesi, se è vero che le norme impongono la massima attenzione all’igiene e salubrità dell’alimento, si accetta che quando si lavorano su larga scala farine o altri alimenti, un ristrettissimo quantitativo di insetti finisca dentro ai mulini, o alle altre macchine operatrici. Per prassi si tollera un numero tra i 20 e i 50 frammenti di insetto per 50 grammi di prodotto. Si deve trattare di frammenti, non di insetti interi, che denoterebbero una colonizzazione della farina successiva alla sua macinatura. Tali frammenti sono minuscoli, riscontrabili al microscopio con un’analisi chiamata “filth test”. L’alimento che normalmente dà i risultati più alti in termini di insetti presenti al filth test sono, per la loro struttura originale, i funghi secchi. Ma il filth test non dà mai risultati pari a zero per molti altri alimenti. Nessuna farina è esente da frammenti di insetti: in qualunque panino, o piatto di pastasciutta, è sicuramente riscontrabile un quantitativo, pur minimo, di insetti.